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Il Libano è diventato il primo Paese arabo a legalizzare la coltivazione della cannabis per uso medico e industriale, una mossa che potrebbe generare esportazioni redditizie e valuta estera e aiutarlo anche a far fronte ad una crisi finanziaria senza precedenti provocata dal nuovo Coronavirus.
Sebbene la coltivazione della pianta fosse precedentemente illegale, la cannabis è stata a lungo coltivata nella fertile, e impoverita, Bekaa Valley.
Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), il Paese è il terzo fornitore mondiale di resina di cannabis, più comunemente conosciuta come hashish, dopo il Marocco e l’Afghanistan.
La nuova legge, che è stata approvata lo scorso martedì, regolarizzerà le coltivazioni di cannabis già esistenti e contribuirà a contenere la produzione illegale della pianta.
La fabbricazione per scopo ricreativo, come pure l’uso diverso da quello per fini medici e industriali, rimarrà comunque vietata.
Legalizzazione della cannabis industriale e medica in Libano: i retroscena
La nuova legislazione sulla cannabis in Libano ha l’obiettivo di costruire un nuovo settore multimilionario, capace di creare, di proporre e di vendere prodotti, anche all’estero, che vanno dai tessili ai medicamenti, fino ad arrivare addirittura ad articoli come il cannabidiolo (CBD).
Hezbollah, il gruppo paramilitare e politico sciita appoggiato dall’Iran che controlla zone della Bekaa Valley, è stato uno degli unici gruppi politic ad opporsi alla nuova legislazione, secondo quanto riportato dalle pagine del Lebanon’s The Daily Star.
I legislatori, che hanno appoggiato il nuovo disegno di legge, hanno difeso la loro decisione a spada tratta, dicendo che era stata presa per “motivi economici e nient’altro”:
“Anche noi abbiamo riserve morali e sociali, ma oggi c’è la necessità di aiutare l’economia in qualsiasi modo” ha dichiarato Alain Aoun, deputato senior del Free Patriotic Movement.
L’idea di legalizzare la coltivazione della cannabis per produrre medicinali ad alto valore aggiunto per l’esportazione era stata esplorata, la prima volta, in un rapporto di McKinsey che era stato commissionato dal governo libanese nel 2018.
Secondo quanto riferito, la società di consulenza stima che l’industria della cannabis medica e industriale in Libano potrebbe generare fino ad un miliardo di dollari all’anno.
La lunga guerra delle autorità libanesi contro il commercio illegale
Solo a marzo 2020 la polizia libanese aveva effettuato il più grande sequestro di droga della storia del Paese quando aveva confiscato circa 25 tonnellate di hashish, già pronte per essere introdotte clandestinamente in uno stato africano.
Il Libano, nel frattempo, sta combattendo una crisi finanziaria senza precedenti, aggravata dalla pandemia di Coronavirus, che lo scorso ottobre 2019 aveva scatenato una rivolta popolare.
La valuta locale, da allora, ha visto un dimezzamento del suo valore, mentre una carenza paralizzante del dollaro ha influito sulle importazioni. I prezzi sono saliti alle stelle e la disoccupazione ha registrato un notevole aumento.
L’arrivo del Covid-19, e la conseguente emanazione di un rigoroso lockdown, che ha bloccato tutte le attività commerciali, non ha fatto altro che peggiorare le cose.
Solo mercoledì, in Libano, si sono registrati 682 nuovi contagi e 22 decessi per il nuovo Coronavirus.
I legislatori libanesi si sono riuniti martedì in una sessione speciale tenutasi in un teatro di Beirut. Le loro temperature sono state misurate e le loro gambe sono state spruzzate con disinfettante in modo da poter seguire le rigorose norme igieniche e di distanziamento sociale.
All’ordine del giorno, oltre a quello sulla cannabis per uso medico e industriale, c’erano decine di altri progetti di legge, tra cui uno sulla lotta alla corruzione nel vasto settore pubblico del Paese e un controverso progetto di legge su un’amnistia per migliaia di prigionieri.
Manifestazioni antigovernative, che hanno osservato le misure di sicurezza del Coronavirus, si sono tenute in tutto il Paese in coincidenza con la sessione, con molte persone che si sono radunate alla periferia di Beirut per protestare contro il collasso economico e politico del Paese.