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Il tabacco è originario dell’America centromeridionale e di alcune isole dell’Oceania, compare in Europa infatti solo dopo la scoperta dell’America, precisamente in Spagna nel 1519. Proveniente da Santo Domingo, per opera di Padre Ramòn Pane, viene coltivato la prima volta nel 1558 in Portogallo, a Lisbona, dal gentiluomo fiammingo Damiano De Goes.
La storia del tabacco in Italia
In Italia, la coltura del tabacco si diffuse invece nella seconda metà del XVI in particolare grazie a due figure. La prima fu quella del Cardinale Prospero Pubblicola di Santa Croce, Nunzio Apostolico in Portogallo, che portò i semi a Papa Pio IV, che a sua volta li fece coltivare ai monaci cistercensi vicino a Roma e il Vescovo Nicolò Tornabuoni.
Il secondo fu invece Nunzio di Papa Gregorio XIII e ambasciatore di Toscana alla Corte di Francia, che portò i semi a suo zio, il Vescovo di Sansepolcro, così che il tabacco iniziò a diffondersi nella Firenze di Cosimo I De Medici. Da lì il tabacco passò poi alle Marche attraverso i monaci cistercensi di Chiaravalle e alla Valle del Brenta in Veneto grazie ai monaci benedettini.
Nello stesso periodo le colture di tabacco si svilupparono anche nella Repubblica di Cospaia, un minuscolo stato di poco più di 300 ettari in quello che attualmente è il comune di San Giustino. Gli abitanti della piccola Repubblica di Cospaia cominciarono quindi a vendere il tabacco agli stati vicini: fu proprio così che il tabacco divenne il principale mezzo di sostentamento della repubblica e iniziò a diffondersi sempre di più.
Storia della classificazione del tabacco e la sua diffusione
Nel corso del secolo si cercò di classificare le specie di tabacchi coltivate. Pietro Castelli, fondatore del giardino botanico di Messina nel 1638, distinse tre specie: la nicotiana major latifolia (herba S. Croce femmina), la nicotiana major angustifolia (herba sancta minore) e la nicotiana minor (hyoscyamus luteus).
Nella zona di Borgo S. Sepolcro la coltivazione del tabacco uscì poi finalmente dalle proprietà vescovili e iniziò ad espandersi nella zona, specie a Cospaia: il terreno era adatto, e l’acqua, di cui la pianta di tabacco necessita in abbondanza, non mancava di certo.
L’uso del tabacco si intensificò sempre di più, sia da fiuto che da fumo, specialmente tra gli ecclesiasti che, oltre a procurarsi un piacere nel fiutarlo o nel fumarlo, lo consideravano un rimedio per mantenersi casti.
Il tabacco però iniziò ad essere utilizzato anche durante lo svolgimento delle funzioni religiose, il che costrinse la chiesa ad un intervento diretto. Urbano VIII, per richiesta della chiesa di Siviglia, emanò il 30 gennaio 1642 la Bolla Ad Futuram Rei Memoriam con la quale si scomunicava chiunque avesse fumato o fiutato tabacco in chiesa.
Le disposizioni della Bolla sembra che siano state applicate severamente, tanto che a Santiago (Spagna) nel 1692 cinque monaci vennero addirittura murati vivi per aver fumato in chiesa prima delle funzioni religiose! Le proibizioni però non risultarono molto efficaci tanto che fino dal 1657 nello stesso stato Pontificio si autorizzarono manifattura e vendita di tabacco da fiuto.
L’estendersi delle coltivazioni ma soprattutto del consumo dello stesso spinsero molti Stati sia a sfruttare il tabacco a scopo fiscale , sia a concedere appalti per la sua lavorazione.
La Repubblica di Venezia fu la prima a farlo: verso la fine del ‘500 infatti assoggettò il tabacco -sia in foglia sia in polvere- a restrizioni fiscali, facendo così della coltivazione di tabacco un privilegio assegnato a chi poi avrebbe corrisposto al governo un canone fisso annuo.
Nel 1654 proibì la coltivazione e la vendita del tabacco e abolisce i privilegi, tranne che per i paesi del Canale di Brenta.
Fino ad arrivare al Monopolio di Stato
Nel XVIII secolo, poi, quasi tutti i diversi regimi fiscali dei vari stati vennero trasformati in monopoli, fissando non solo le superfici per la coltivazione, ma anche le varietà da usare, i prezzi dei prodotti e obbligando i contadini a vendere le foglie esclusivamente a personale autorizzato dal governo.
In Italia meridionale invece il tabacco iniziò a diffondersi solo nel XVIII secolo, inizialmente nel Beneventano, ancora grazie ad ordini religiosi locali, per estendersi poi fino alla Puglia in seguito alla costruzione di una grandissima manifattura di tabacco da fiuto di lusso di Lecce.
Con in decreto emanato il 23 luglio del 1811, Napoleone I confermò la concessione di appalto per il tabacco, autorizzandone la coltivazione solo nei comuni del Brenta. Solo qualche anno dopo, nel 1815, sarà concessa la facoltà di coltivare tabacco anche ai comuni della sinistra della zona.
Durante l’Unità d’Italia, nel 1861, le entrate del tabacco erano diventate così alte che il nuovo governo formò il Monopolio dei Tabacchi. Tale Monopolio controllava la coltivazione, la produzione e addirittura il commercio del tabacco, proprio allo scopo di garantire all’erario cospicue entrate gestite direttamente dallo Stato. Nello stesso periodo il Monopolio di Stato, oltre ai prodotti da fumo e da fiuto, iniziò a produrre anche i primi antiparassitari a base di nicotina per la lotta agli insetti nocivi alle piantagioni e saponi a base di nicotina.
All’inizio del XX secolo erano nate in Italia diverse cooperative ed aziende private per la lavorazione del tabacco ed erano addirittura 17 gli stabilimenti del Monopolio per il tabacco lavorato.
Nel corso dei secoli il tabacco fu oggetto di infinite legislazioni legate allo sfruttamento commerciale e di altrettante controversie legate al suo utilizzo. Infatti il Papa Urbano VIII e Innocenzo X arrivarono a decidere per la scomunica di chi avesse usato tabacco in chiesa. Le numerose proibizioni da parte dei vari Stati della penisola italica però non riuscirono mai a fermarne né l’uso né la coltivazione, che fu quasi sempre sottomessa a disposizioni speciali da parte dei governi o comunque a regime di monopolio.